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Possiamo dire che ci sono persone che lottano in continuazione mentre altre hanno sempre successo?

Se possiamo affermare questo, possiamo iniziare a dividere gli esseri umani (o almeno alcuni di loro) in queste due categorie: quelli che lottano e quelli che hanno successo.

Quelli che lottano, lottano per arrivare a fine mese, lottano per riconciliare un rapporto, lottano per avere maggior valore, lottano per dimostrare chi sono, cosa sono, che esistono, lottano per migliorare, lottano per potersi esprimere, lottano per trovare il loro posto nel mondo e alla fine … possono anche essere stanchi di dover sempre lottare.

Quelli che hanno successo, hanno successo negli affari, hanno successo nel lavoro, hanno successo nelle relazioni, hanno successo nei progetti che scelgono di mettere in pratica, hanno successo in tutti e, onestamente, ci fanno anche un po’ di invidia.

Arrivati fin qui, stiamo affermando che ci sono persone che lottano e persone che non lottano.

Ma come fanno ad avere successo se non lottano?

È proprio questo il punto. Hanno smesso di lottare. Tempo fa. Hanno scelto il successo anziché la lotta.

Quindi ci chiediamo cosa differenzia il guerriero. Come sono fatti i suoi pensieri, le sue sensazioni, le sue emozioni.

Avrà paura? Probabilmente si.

Avrà sensazioni di disagio quando dovrà affrontare una nuova sfida, conscio che ci saranno prove da superare? Probabilmente si.

Avrà quindi un modo di pensare in cui dovrà non solo conquistare territorio ma anche stare sempre con gli occhi aperti e le orecchie tese per sentire al primo accenno, una eventuale minaccia nel territorio? Probabilmente si.

Percepirà la responsabilità costante di dover procacciare il cibo per sé e per il suo nucleo famigliare con l’incertezza che deriva dal non sapere se ci riuscirà? Probabilmente si.

Perché il guerriero che lotta, sta impiegando la propria energia per andare contro qualcuno, come se il mondo la fuori fosse cattivo, ingiusto, contrario e lui lo dovesse vincere. Si sente costantemente in battaglia, in guerra.

Ma siamo d’accordo vero che questo è un “sentito personale”? Ognuno di noi percepisce il mondo in maniera differente e il sentito del guerriero si focalizza spesso su queste dinamiche, la lotta, la sfida, la minaccia, che si trasforma al pari della crescita dell’uomo e della società nella sensazione di dover essere all’altezza, di dover tenere fede a questa altezza, di dover mantenere il valore della propria immagine, ecc.

È vero quindi che il guerriero è sempre in guerra?

Ma la domanda vera è: contro chi sta lottando il guerriero? Contro la società? Davvero?

Carl Gustav Jung dice: “Abbiamo bisogno di più consapevolezza della natura umana, perché l’unico pericolo reale che esiste è l’uomo in se stesso”.

Ma cosa significa questa frase un po’ criptica e traboccante di arcaici significati? Superficialmente potremmo dare ragione al guerriero che teme il suo avversario, perché che la fuori, nel mondo, ci sono persone terribili, cattive, violente, prive di scrupoli, ecc. ma non siamo noi forse esseri umani a nostra volta?

Se la risposta a questa domanda fosse SI, dovremmo iniziare a chiederci se per caso anche dentro di noi non possa esserci un’OMBRA di questa natura umana, una parte inconscia che vive di bramosia, e che si esprime per ognuno di noi in maniera differente.

Com’è allora che si esprime l’ombra del guerriero? Quali sono le ombre che il guerriero proietta nel mondo?

Essendo sempre in lotta, domanda, potrebbe proiettare questa paura di non essere mai al sicuro e quindi di dover conseguire sempre un risultato più ampio, che includa territori sempre più vasti per convincersi finalmente di essere vittorioso?

Cosa manca al guerriero per stare in pace? Esatto, la pace.

Ma allora la vera domanda è: sapendo che il pensiero crea la realtà, potrebbe il guerriero trovare in Sé la pace, cambiando il pensiero per cambiare la realtà, anziché fare la guerra? Probabilmente si. E come?

Facendo pace con le proprie radici, perché le radici sono il territorio da cui l’albero si eleva verso il cielo.

Se il territorio è contrario, è velenoso, è difficoltoso, crea diffidenza, potrà l’albero dare frutti copiosi?

No, certo, hai ragione.

E allora per cambiare i frutti, bisognerà cambiare le radici e quelle del guerriero sono:
Stabilire e difendere i propri confini, affermarsi, vincere, farsi strada, combattere e conquistare, stabilire obiettivi e operare per raggiungerli.

Cosa accade però quando l’archetipo del guerriero non è positivizzato dentro di noi?

È possibile che non si trasformi, che non riesca a evolvere? Probabilmente si.

E cosa accade allora?

Che la lotta diventa l’abitudine, diventa lo schema di pensiero su cui basiamo la nostra vita. Perché ogni volta che pensiamo in un certo modo, stiamo costruendo una convinzione che si alimenterà ogni volta che le daremo nutrimento e, dato che percepiamo pericolo nel territorio, alimenteremo la lotta. Ecco che giorno dopo giorno, anno dopo anno, vita dopo vita, l’abitudine a percepire il territorio come qualcosa di negativo diventa il nostro status quo, la norma.

E da questa norma scaturisce la lotta. La propensione alla battaglia, alla rivalsa.

Attenzione però! Evita di farti ingannare dalle apparenze.

Evita di pensare che il guerriero lotti solo per la carriera, il lavoro, i conseguimenti materiali. Ti mostro con un esempio chiarificatore ciò che intendo:

Se per il guerriero o l’amazzone in questione, il territorio minacciato è quello delle relazioni interpersonali, soprattutto con l’altro sesso, quello sarà il campo di battaglia. Quindi se nell’archetipo ti sei trovato o trovata a dover combattere per difendere la vita di un Amore che invece stava spegnendosi, domanda, potresti anche tu risuonare con questo archetipo non positivizzato? Probabilmente si.

Ma allora, domanda, cosa cambia il terreno? Cosa modifica questa dinamica che anziché renderci persone di successo (nel lavoro, nelle relazioni, negli affari, negli affetti) ci trasforma in persone che devono sempre lottare, lottare, lottare?

Cosa c’è nel terreno, nel territorio, che va sanato per far si che l’albero forte che tu sei diventato, possa finalmente produrre frutti?

E allora ci chiediamo: cosa da il terreno all’albero?

Il nutrimento.

E qual è il nutrimento che le tue radici ti hanno trasmesso?

Accendi la cavalcata delle valchirie, PER FAVORE! (se sei un guerriero)

Che momento catartico.

Tua madre e tuo padre, il contesto di riferimento, gli insegnanti, ti hanno trasmesso fiducia e capacità realizzative oppure hanno sempre lottato come guerrieri?

Hanno sempre faticato in tutto? (guadagni, carriera)

Hanno sempre litigato per sforzarsi di fare andare bene il loro matrimonio? (relazioni)

Possiamo quindi considerare che se le radici sono nutrite con senso di abbandono, umiliazione, ingiustizia, tradimento, l’albero possa soffrire e non riesca a dare frutti copiosi e ben maturi? Certo che è così.

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La risoluzione del conflitto di territorio ha radici profonde e riguarda tutti gli ambiti della nostra vita perché il nostro pensiero è rivolto alla lotta, non al risultato, perché l’abitudine dentro di noi ci dice che dobbiamo lottare, non che dobbiamo vincere.

Abituarsi a vincere, smettere di lottare.

Ma come si fa a vincere senza lottare ti starai domandando?

Risposte:

1)      Spostando l’attenzione sul significato.

2)      Spostando il focus sul godersi il viaggio.

3)      Rielaborando le radici.

Perché anche quando non si vince, c’è un motivo. Ed è plausibile. È biologicamente sensato. Cosa significa ?

Quando spostiamo l’attenzione sul significato della sconfitta subita, possiamo comprendere molto. Se arriviamo a porci meta-domande (cioè domande sulle domande) sul nostro stato interiore, ad esempio:

come mi sento in relazione al fatto che non riesco a vincere? A guadagnare abbastanza?

(e poi) ma sento dentro di me che lo merito davvero?

(e poi) se me lo merito davvero, perché non arriva?

(e poi) chi mi ha trasmesso questa convinzione? Da chi ho imparato a gestire in questo modo queste situazioni?

Quando spostiamo il focus sul goderci il viaggio, impariamo a percepire diversamente le esperienze della vita e anche quelle contrarie, che ci creano disagio e disappunto, finiscono per diventare semplicemente mezzi di apprendimento con cui aumentare la nostra resilienza e gestire al meglio la nostra vita.

Se vuoi iniziare ad apprendere strumenti con cui operare questa trasformazione, puoi scaricare gli e-book gratuiti dall’area delle risorse gratuite.

Rielaborando le radici, possiamo operare un reale e profondo cambiamento nel nostro modo di vedere e vivere la vita, perché la lealtà familiare (concetto sviluppato dalla psicologa francese Anne Ancelin Schützenberger, autrice del pluripremiato “La sindrome degli Antenati”) che inconsciamente e biologicamente dobbiamo (o crediamo di dovere) a chi ci ha messo al mondo, a chi è venuto prima di noi, spesso ci fa agire obbedientemente a queste norme implicite che non vogliamo mai o non possiamo mettere in discussione per valutare se il loro senso sussista per noi e ci porti felicità, oppure se sia solo un rispetto che diamo agli altri MA che travalica il rispetto che dobbiamo a noi stessi, alla Luce che dovremmo portare nel mondo.

Con la Dermoriflessologia® Integrata possiamo rielaborare questi aspetti inconsci portandoli alla Luce per sanarli e finalmente vivere la nostra vita. Abbiamo pagato il debito di sangue che ci lega ai nostri avi con la sofferenza di questa vita, domanda, potremmo avere pagato abbastanza?

O preferiamo continuare a combattere tutta la vita solo perché ci hanno insegnato che si deve combattere?

Possiamo cambiare?

Probabilmente si.

Gli “uomini contro”, alla fine di tutto, sono “contro Sé stessi” perché, come dice Jung, l’unico pericolo reale che esiste è l’uomo in se stesso.

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